Gianluca Conca è un giovane montatore romano classe '91.
Nonostante la giovane età può già vantare numerosi progetti importanti. Capace di spaziare dalla regia al sonoro, ha collaborato con artisti affermati della musica italiana come Marco Mengoni, Jovanotti, Francesco Renga, Achille Lauro, Coez, I Måneskin e molti altri. Poliedrico e visionario, sette anni fa ha fondato insieme al suo amico e socio Daniele Barbiero la "Convergent clouds", team creativo con cui raccontare le loro storie, i loro mondi. Puntando tutto su estetica ed emozioni.
Come nasce l’idea di Convergent Clouds?
Convergent Clouds è un simbolo nato passeggiando per le strade di Londra nel 2014, insieme al mio socio e amico, il regista Daniele Barbiero.
Al tempo eravamo ancora fuori dal mondo lavorativo del Filmmaking, e a distanza di 3 anni dal nostro incontro nel 2011, e dopo piccoli progetti indipendenti e auto-prodotti, si era ormai stretto un gran rapporto fraterno e di comprensione reciproca, e avevamo raggiunto la consapevolezza che i legami tra le diverse figure creative costituiscono l’ingrediente essenziale nell’intero processo produttivo di un prodotto audiovisivo.
Spesso oggi ci si abbandona per scontato al lato più ‘tecnico’, ’freddo’ e ‘individualista’ del nostro contesto lavorativo, ma ci dimentichiamo che tutto ciò che facciamo dovrebbe inseguire un’idea di ‘arte’, e che le emozioni, i legami, i rapporti, sono gli stimoli alla base di ciò. Ogni figura, che sia avanti o dietro la telecamera, può attingere alla propria sensibilità ed esperienza emotiva, e tradurla in un’azione creativa/tecnica al meglio possibile grazie all’alchimia con l’intera squadra. Perciò è vitale, per la riuscita di un progetto, che i professionisti condividano tra loro la stessa sensibilità e le stesse idee, da far appunto ‘convergere’ in un atto di creazione artistica.
Questo principio lo abbiamo cominciato a mettere in atto a partire da quell’anno, il 2014, in cui abbiamo cominciato a produrre progetti via via sempre più di spessore che ci hanno permesso di ottenere riconoscimenti in diversi paesi, e abbiamo conferito il nome ‘Convergent Clouds’ al nostro piccolo team creativo, un collettivo composto da giovani che al tempo ancora non erano professionisti del settore, ma pieni di idee e talenti da mettere in atto e scatenare sul campo.
Oggi gli stessi ricoprono ruoli importanti nel nostro panorama lavorativo, e siamo contenti e fieri a distanza di anni di ritrovarci ancora in tanti progetti e di condividere la stessa passione, coltivata nel tempo e trasformata in un vero e proprio lavoro, che è la prima ambizione di qualsiasi giovane sognatore filmmaker.
Cosa ti ha portato a seguire la via del montaggio?
Amo il cinema fin da quando ho memoria, e da quando a pochi anni pensavo che ciò che vedevo proiettato sul grande schermo, avvenisse in tempo reale esattamente dietro ad esso.
Fin da bambino nella mia testa ho sempre ‘girato’, ‘montato’ e ‘musicato’ film in via del tutto inconscia, con tanto di loghi, crediti di chiusura e durate cronometrate, usando qualsiasi mezzo a mia disposizione, che fosse la mia immaginazione o scatole piene di Lego.
In età adolescente ho cominciato a scrivere, e quando sono entrato all’università, e i mezzi dell’audiovisivo sul mercato sono arrivati a presentarsi abbordabili per i giovani, ho iniziato a investire il mio tempo sperimentando e spremendo tutto ciò che avevo dentro, girando e montando qualsiasi cosa mi capitasse davanti gli occhi, usando spesso e volentieri i miei amici come ‘attori’, e arrivando anche a viaggiare oltre oceano con una telecamera in mano per creare dei piccoli lungometraggi semplicemente per il gusto di farli e dargli una varietà di luoghi e contesti diversi e con sapori internazionali.
Negli anni, man mano che il tutto cominciava a tramutarsi in lavoro, ho sperimentato nei vari aspetti chiave di una produzione, ho potuto scrivere, dirigere, fotografare, comporre tanta musica, ma l’aspetto che sento ‘mio’ più di tutti, è quello del montaggio.
Prendendo esempio da tantissimi montatori divenuti anche registi di importanza storica, ho progetti a lungo termine per quanto riguarda l’ambito di regia, ma senza mai abbandonare il ruolo da montatore. Non potrei essere regista di un’opera senza esserne anche il montatore.
Anzi, per come la vedo io, reputo che sono due elementi che coincidono fin tante volte in fase di creazione e di post-produzione.
Quanto reputi importante il montaggio per la buona riuscita di un prodotto audiovisivo?
Il montaggio/film editing è la parte più celata, quella notevolmente soprannominata ‘l’arte invisibile’, eppure è anche l’elemento più sotto gli occhi di tutti. Si dice appunto che quando il montaggio è ben riuscito, lo spettatore è così coinvolto in quello che sta guardando che neanche si rende conto di esso. Ed è questo l’aspetto che mi ha sempre affascinato.
Un pubblico meno esperto ad esempio non sempre è in grado di capire ‘il montaggio’ di un film, ma lo percepisce continuamente nell’inconscio, nell’emotività, in un brivido di pelle d’oca. Perché tutto ciò che vede è effettivamente il risultato di tutti i processi creativi e produttivi di un’opera, messi insieme, riuniti, modellati, riscritti, in unico risultato finale, ovvero il montaggio stesso.
Ecco perché, citando i più grandi esperti del cinema, non si può che considerare il montaggio la summa di tutto. É la scrittura finale, quella che determina le sorti di un’opera, quella che può salvare, distruggere, o stravolgere completamente tutto il lavoro svolto prima. Puoi modificarlo negli anni, puoi evolverlo nel corso di decenni, come successo a tanti grandi film.
E oggi sono contento che sempre più persone, anche non del campo, si stiano rendendo conto dell’importanza della parola ‘editing’, e che sempre più giovani aspiranti filmmaker sognino di essere montatori.
Montaggio:tecnica,arte creativa o entrambe?
Non c’è cosa più sbagliata di considerare la figura del Film Editor come un ruolo puramente tecnico, fatto solo di selezioni e tagli nei punti giusti. Ci vuole tanta creatività, un bagaglio infinito di idee, ma soprattutto un’estrema sensibilità, perché un montatore non deve mai dimenticarsi che sta comunque raccontando una storia, e il ‘come’ chiuderemo questo racconto, determinerà il modo in cui il pubblico lo vivrà.
Certo, l’aspetto tecnico è di importanza enorme. La conoscenza degli strumenti e dei software è indispensabile, specialmente se ci troviamo in fase di post-produzione di un film o nei tempi frenetici della creazione di un videoclip. Ma è sbagliato inseguire ossessivamente la conoscenza tecnica, se non si possiede un proprio linguaggio artistico ed emotivo, un proprio modo di vedere e osservare non solo il materiale audiovisivo che si ha in possesso, ma anche la quotidianità e la vita stessa.
Io stesso non mi reputo una grande cima di ‘tecnica’, molto spesso mi blocco su alcuni impedimenti e chiedo consiglio ai miei decisamente più esperti colleghi, il cui confronto e rapporto per me è preziosissimo.
Mi reputo una figura decisamente molto istintiva, che ragiona per intuito e per emozioni e che cerca semplicemente di applicare il proprio gusto.
Cosa deve avere per te un montaggio per essere di qualità?
Partendo dalla domanda precedente, suddivido questa risposta in due parti.
Dal lato più tecnico, reputo importante ambientarsi nel proprio software di riferimento.
Non importa tanto quale software sia considerato il ‘migliore’ da chissà quale massa o professionista (mi viene subito in mente il recente ‘Parasite’, montato con un vecchio programma considerato ‘poco professionale’, eppure vincitore dell’oscar miglior film, con nomination al miglior montaggio). L’importante è trovare gli strumenti software con i quali ci si trova meglio, e che eventualmente comunichino bene con i software degli altri nostri collaboratori di post-produzione.
Successivamente reputo di vitale importanza lavorare non esclusivamente col montaggio del materiale, ma espandendosi a tutti gli aspetti intorno, soprattutto con il montaggio dei suoni e delle musiche.
Anche se ci stiamo approcciando a un progetto dove questi elementi saranno ‘rifatti’ da una propria figura di riferimento, come un sound designer o un compositore, non posso che consigliare di dare già una propria direzione in fase di montaggio, quasi presentando il nostro primo montato come se sembrasse un prodotto finito, e non una semplice bozza grezza.
Questo ci aiuterà a ‘capire’ meglio la nostra creazione, confrontarla con il regista, e intravedere la sua forma finale. Ed il connubio con la controparte musicale e sonora, credo sia una carta vincente per la riuscita di un gran montaggio.
Dal lato più artistico, è necessario crearsi un proprio linguaggio.
Credo che questo sia possibile in primis guardando, tanti, troppi, infiniti film.
Vedo la cultura cinematografica alla base di tutto, e vivere più opere possibili e amare il cinema in ogni sua forma (e parlo davvero di tutti i tipi di cinema, non solo quelli reputati importanti storicamente) ci aiuta a comprendere tante realtà e tanti linguaggi, e a capire meglio la nostra identità nei vari ambiti. E quando ci ritroveremo a dare forma alla nostra opera, sarà importante avere la sensibilità giusta di ‘raccontare’ nella nostra timeline la storia a cui ci stiamo approcciando.
Partendo da qui ogni montatore svilupperà il proprio stile e il proprio modo di narrare, e se devo esprimere cosa vuol dire per me un linguaggio di qualità, risponderei che quello che inseguo io è uno stile di montaggio ‘presente’ e coraggioso nella storia, che si sposi sinuosamente con la narrazione e la sua psicologia, che crei contrasti tra momenti più distesi e momenti più spinti, che senza paura si muova nel tempo come dei ‘frammenti’ di emozioni e ricordi, che è quello di cui i personaggi, e quindi noi essere umani, siamo fatti.
Il tutto senza cercare di strabordare o di diventare fine a se stesso, e i confini ahimè sono molto facili da rompere, specialmente in produzioni più grandi dove le variabili sono infinite e ci si rischia di perdersi, dove si è bombardati tra voci, telefonate, modifiche, tempistiche frenetiche, e il livello di stress raggiunge picchi altissimi, mentre il giorno e la notte si confondono e non esistono più orari di lavoro.
Ma alla fine, vedere un bel risultato, ne fa valere la pena.
Registi e montatori preferiti?
Sicuramente i primi nomi che mi vengono in mente se parlo di un regista e di un montatore, sono quelli del duo Christopher Nolan / Lee Smith.
Queste due menti visionarie e pluripremiate, oltre ad aver dato vita e forma a opere che hanno già segnato questa generazione, hanno portato il linguaggio cinematografico a livelli di avanguardia a mio parere mai raggiunti prima. Con la loro ossessione per il concetto del tempo, abbracciano esattamente la visione di cinema e di montaggio che cerco di inseguire ogni giorno: frammenti di ricordi, di sogni e di emozioni sparsi nel tempo tra linee narrative apparentemente slegate ma calcolate al millesimo. Un coraggio narrativo tremendamente difficile da attuare e da tradurre, e che restituisca la sensazione dell’infinità del tempo, dei sogni, e di ‘cosa c’è oltre’.
Insieme a loro, sia per motivi simili che per molti altri linguaggi, ci affianco tanti personali idoli, come i registi David Lynch, Darren Aronofsky, Sam Esmail e i montatori Tom Cross, Kirk Baxter e Thelma Schoonmaker. In Italia, ammiro molto il linguaggio di Sorrentino / Travaglioli.
Esempio di un capolavoro di montaggio (film o videoclip)?
Oltre a tutti i film dei sopracitati Nolan/Smith, come ‘Interstellar’, ‘Inception’, ‘Dunkirk’, o altri come ‘Whiplash’, ‘La La Land’, ‘Madre!' e ‘Animali Notturni', è su due titoli che vorrei concentrarmi per definirli capolavori di montaggio.
Parlo del film ‘Mr. Nobody’ scritto e diretto da Jaco Van Dormael, e della serie ‘Mr. Robot’ creata da Sam Esmail, che sono anche le mie opere preferite in assoluto.
Non voglio annoiare con righe infinite di motivazioni e dettagli, ma trattandosi di gioielli conosciuti non alle masse, non posso che consigliare a chiunque legga queste parole di vivere questi due profondi viaggi sulla vita e su noi stessi.
Il tuo rapporto con i registi: Quanto spazio creativo ti lasciano i registi con cui collabori?
(Collabori assiduamente con gli Younuts e Daniele Barbiero)
Domanda a cui tengo particolarmente. Riallacciandomi al discorso di apertura di questa intervista e chiudendo quindi un cerchio, sottolineo l’importanza vitale del legame tra le figure creative, e in un modo particolare quello tra regista/montatore.
Danny Boyle in una recente intervista dichiara che il rapporto chiave per lui in una creazione di un’opera cinematografica è proprio quello tra regia e montaggio, e io non potrei essere più d’accordo. Questo rapporto trova importanza nelle fasi tra le più delicate di un processo produttivo, non solo in fase di montaggio ma già nelle fasi di pre-produzione, dove è necessario stabilire una visione d’insieme su quello che sarà l’opera alla fine. Non a caso negli ultimi anni, sempre in più set cinematografici il montatore è presente accanto al regista, per confrontarsi continuamente su quello che si sta girando, e su come verrà ‘scritto’ nella timeline.
Ora: sono consapevole che ci sono montatori che vedono la loro stessa mansione come un aspetto più tecnico e meno ‘aulico’ di come lo percepisco io, e di conseguenza sono visti più come meri esecutori del regista. Per come sono io e per come mi approccio al lavoro, ossia mettendo molto di me stesso nelle opere che curo, a volte anche impercettibilmente per chi guarda il prodotto finito da fuori, il mio modus operandi è abbastanza chiaro ai registi e ai produttori che mi affidano i loro progetti, e non potrei essere più onorato di ciò.
Måneskin - L'altra dimensione
Personalmente, nella fase ‘massiccia’ del montaggio, necessito di tanto spazio creativo in completa solitudine, poiché ho bisogno di ‘sentire’ la mia testa e la mia emotività senza ‘rumori’ esterni, dopodiché, dopo aver terminato il mio primo cut, si dà il via a tutte le fasi di confronto con il regista, poi con la produzione, e così via.
Ma per fare ciò, prima di tutto ho anche bisogno di conoscere la visione chiara e decisa del regista che è ovviamente la prima firma di tutta l’opera.
Purtroppo tanti registi oggi si occupano esclusivamente di portare a casa il girato, e poi affidano tutto al montatore lasciandolo senza nessuna indicazione, idea o stimoli, il che spesso può essere controproducente. Citando ‘Boris’: “Gira una cosa che non ci si capisce niente, tanto poi ci pensa il montatore che te la intorta”.
Per questo l’avere un legame tra regista e montatore, il potersi capire subito a vicenda e il confrontarsi in completa simbiosi, determinerà il risultato del prodotto anche in modi non chiaramente visibili dall’esterno o dati per scontato.
E sono onoratissimo e lieto che le figure professionali che mi scelgono sposino questa visione, e che mi lascino tanto spazio creativo ascoltandomi e accogliendo le mie idee e proposte a volte decisamente ‘stravolgenti’ rispetto alla loro idea iniziale, e senza mai applicare comportamenti di individualismo o egocentrismo.
Marco Mengoni - Muhammad Ali
Nel campo dei videoclip ad esempio, dove ultimamente mi sto concentrando di più, avere la fiducia del duo di registi musicali più affermato in Italia, i mitici Anto e Nicco di YouNuts!, o di produzioni come Maestro e MP Film, o spesso avere anche l’amicizia con gli artisti musicali stessi, sono tutti elementi di cui sono onorato e provo gratitudine ogni giorno, in cui cerco semplicemente di seguire l’istinto di dare quello che sento nei prodotti che mi vengono affidati.
E per quanto riguarda il regista Daniele Barbiero, grazie al sopracitato legame di amicizia dentro e fuori il lavoro, creare dei ‘mondi’ insieme a lui è così gratificante e speciale che non mi sento neanche di chiamarlo lavoro, e racchiude perfettamente e ai massimi livelli esponenziali la visione e l’idea di arte che ho riportato lungo questa intervista, quella per cui tiriamo fuori e dedichiamo tutto il nostro amore e la nostra passione, vedendo ogni progetto, piccolo o grande che sia, non come una semplice fonte di lavoro e guadagno, ma come un piccolo macro-mondo da popolare con le nostre idee e che ci fa sentire ‘vivi’.
Sicuramente una visione un po’ ‘utopica’ e ‘sognatrice’, ma alla fine senza sognare, che Cinema sarebbe?"