Il suo temperamento e il senso di sacrificio lo spingo a Roma dove riesce ad entrare in una delle più prestigiose scuole di recitazioni. “Luna Park”, serie disponibile su Netflix, è il primo progetto a cui partecipa interpretando Cesare Grotta e poco dopo, grazie alle sue capacità, si ritaglia un ruolo più grande in “Lovely Boy” regia di Francesco Lettieri uscito il 10 settembre di questo anno su Sky Original.
La passione per il cinema, nel senso di ossessione è nata intorno ai 15 anni, nel mio gruppo di amici, danni a parte c’era molta condivisione sul confrontarsi e discutere di film. Vedevo film di ogni sorta. Mi ricordo che da Civitavecchia prendevamo il treno per andare a Roma, a parco Leonardo, stavamo tutto il giorno a vedere film passando da una sala all’altra illegalmente e tornavamo la sera tardi in provincia.
Mi sono fatto una mia idea di cinema col tempo, che continua a mutare.
Non avevo finito le scuole superiori, era un periodo in sospeso, è chiaro che essendo una realtà piccola dove vivevo non potevo espandere nella pratica la recitazione, il cinema, mi tarpava l’anima, dopo un po’ di sforzi ho fatto il passo. Provai ad entrare al centro sperimentale, arrivai fino al propedeutico, tutte le mattine il treno per Roma, tornavo la sera e la mattina dopo uguale. Non sono entrato, l’anno dopo ho provato alla scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté. Già dai provini sentivo che era adatta a me, era una casa, una politica più vicina alla mia concezione di fruibilità dell’arte, rendere la partecipazione ai corsi gratuiti. Sono entrato. Mi ha dato e mi sta dando tanto, è stato un inizio concreto per me.
La cosa più importante per me sono stati gli incontri, gli altri ragazzi, come Luca Maria Vannuccini. Cresciamo insieme, soprattutto alcuni di noi, con legami profondi che vanno oltre alla didattica.
Fly, il mio personaggio, è decisamente lontano da me, Pariolino, manager, ma se capisci il progetto il concetto di verità si riflette in qualunque cosa tu faccia, al di là del ruolo in sé. Io ed Enrico Borello (anche lui mio compagno di corso alla Volonté) abbiamo lavorato molto insieme per questo progetto, ci siamo interrogati, sperimentato nuovi modi di agire e vivere storia e personaggi, insieme le cose hanno un’altra qualità. Lettieri ci ha lasciato fare, ha dato molto spazio alla libertà e all’improvvisazione o intuizioni di ognuno di noi.
È stato un set passionale, ho capito molte cose. La difficoltà è stata calibrarmi con il mezzo del cinema, e tutto quello che gira dentro e attorno ad un set. Ho capito durante, e ho imparato da ogni persona sul set. Conosciuto ragazzi con cui siamo diventati amici dentro e fuori dal set. Da chi aveva più esperienza pratica di me ho imparato come “guardare’’ la macchina. Alla fine il discorso è che questo è un mestiere fatto di pratica, devi fare esperienza sul campo. Un po’ come un artigiano, un muratore, inutile spiegare come si fa perché poi facendo capisci, sbagliando e imparando.
No. Ogni lavoro per me è diverso ed ha un approccio diverso. Sono un emergente, Luna park è stata la mia prima esperienza in assoluto in un set, ho fatto un lavoro diverso sul personaggio insieme a Roberto Evangelista (nella serie interpreta mio fratello) è stato bello come primo approccio. E’ stato, per me, un progetto che per quello di cui parla non mi porta ad avere lo stesso coinvolgimento. In Lovely boy mi sono scontrato con tematiche a cui tengo di più, come la tossicodipendenza.
Assolutamente, ci ha lasciati liberi. L’ho conosciuto nella prima fase dei provini dove facevo da spalla, ha una visione concreta del cinema, penso sia molto umano e lo ringrazio per la fiducia riposta nel mio lavoro. La cosa naturalmente è ricambiata da parte mia.
Di base no, mi ispiro più a dinamiche e persone che incontro quotidianamente nella vita di tutti i giorni. Vivendo e osservando. Preferisco prendere spunto da altre arti che non siano solo la recitazione, anche cose insignificanti che mi stimolano. Le persone, soprattutto, nei bar. Detto questo si, nel mondo del cinema ho ammirazione per molti artisti. Senza citare i big, che momentaneamente non mi interessano più, seguo più la nuova wave, uno stile fresco diciamo: Robert Pattinson, Shia Labeouf, Timothee Chalamet. Un attore/artista che mi ha sempre segnato da quando sono un ragazzino è Jim Carrey.
Ultimamente ho visto su Netflix un film francese chiamato Shéhérazade. Ha questa forza di mescolare, nelle scelte, realtà e finzione. E’ una licenza poetica direi. Si avvicina più alla mia idea di cinema, seppur mi rendo conto che per un attore può essere limitante. Ma è questo ciò che mi piace, mi stimola e mi assorbe ora. È chiaro che per certi film servono attori nel senso stretto del termine, ma una cosa non escluda l’altra, ed è un concetto quello “dell’attore” che non ho mai condiviso.
Questa concezione che tutto deve essere portato a termine per me è sbagliata, non lascia aperti nuovi scenari. A volte bisogna lasciare che le cose accadano naturalmente, ti arrivino e si aprono strade diverse, più binari, se lo chiudi questo non avviene. Tra la figura del cerchio che conosciamo tutti e quella del cerchio Zen chiamato ‘’Ensò’’ preferisco di gran lunga questo, se lo andate a vedere, come è disegnato, gli artisti che lo fanno lasciando al cerchio sempre uno spazio aperto.
Nel film c’è una battuta di Nic che spiega la differenza tra trap e rap ‘’noi non abbiamo contenuti, lo facciamo apposta’’. Vorrei portare questa concezione nel cinema: il non contenuto è un contenuto. Il vuoto è un contenuto ed anche molto pieno direi. Vorrei rompere le regole di lavoro, sociali e di dresscode, svecchiare un po’ il sistema. Poter “rivoluzionare” questo mestiere.
Dopo un periodo come questo ci può essere un risveglio nelle coscienze delle persone. Un risveglio collettivo e artistico, e sta accadendo penso. Sdoganare, in Italia soprattutto, che un attore può fare il cantante e viceversa cosa che non accade perché ci sono delle regole preimpostate che non rendono fluida l’artisticità di un individuo.
Per ora no, potrebbero esserci delle cose in ballo, ma sto in un periodo di sperimentazione e riflessione, anche su altre arti. Mi confronto continuamente, sto scrivendo molta musica, canzoni, l’ho sempre fatto ora lo sto concretizzando, nonostante la mia incostanza, sono comunque in un mood di ricerca. Voglio crescere come artista onestamente, non solo come attore.
Non sono la persona adatta a dare consigli. Io non mi sento un attore, perché per me l’attore è una persona, un essere umano, più esseri umani. Forse questo. L’attore è un essere umano, attore non vuol dire un cazzo. Il mio è stato un inizio particolare, ogni percorso è diverso. Sicuramente non è da dove vieni che ti limita a fare le cose, ma dove vuoi arrivare. Difficoltà incluse. E sicuramente non è un mestiere che si può fare da soli. Perché un essere umano non sta da solo.
L’arte, tutto questo, può essere un mezzo per salvarsi.
L’arte può essere Salvezza.