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Davide Valle
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ATTORE
Davide Valle
ATTORE
Davide Valle, classe 1997, schietto, sincero e sempre pronto al confronto, l’importante è trarre un insegnamento utile alla crescita umana e professionale. Nasce a Civitavecchia, lì durante l’adolescenza si approccia al mondo della recitazione, collabora con compagnie teatrali amatoriali “dove tutti facevamo tutto”. Si sente orgogliosamente un ragazzo di provincia e ne fa un punto di forza “non è da dove vieni che ti limita a far le cose, ma dove vuoi arrivare”. 

Il suo temperamento e il senso di sacrificio lo spingo a Roma dove riesce ad entrare in una delle più prestigiose scuole di recitazioni. “Luna Park”, serie disponibile su Netflix, è il primo progetto a cui partecipa interpretando Cesare Grotta e poco dopo, grazie alle sue capacità, si ritaglia un ruolo più grande in “Lovely Boy” regia di Francesco Lettieri uscito il 10 settembre di questo anno su Sky Original.

Come è nata la tua passione per il cinema?

Casualmente, anche se è un concetto in cui non credo. Intorno ai 10 anni sono andato in una scuola di ballo per fare break dance, c’era un corso di recitazione e ho iniziato a farlo e da lì è iniziato tutto.  È un qualcosa che non si è mai fermato per me. È diventata una delle poche cose costanti della mia vita, essendo una persona molto incostante, avevo trovato una continuità naturale. Sono entrato in una compagnia teatrale, dove tutti facevamo tutto, dalla recitazione chiaramente allo smontare e montare scenografie. Una realtà amatoriale, di provincia, da dove vengo.

La passione per il cinema, nel senso di ossessione è nata intorno ai 15 anni, nel mio gruppo di amici, danni a parte c’era molta condivisione sul confrontarsi e discutere di film. Vedevo film di ogni sorta. Mi ricordo che da Civitavecchia prendevamo il treno per andare a Roma, a parco Leonardo, stavamo tutto il giorno a vedere film passando da una sala all’altra illegalmente e tornavamo la sera tardi in provincia. 

Mi sono fatto una mia idea di cinema col tempo, che continua a mutare. 

Quando hai deciso di diventare un attore?

Non avevo finito le scuole superiori, era un periodo in sospeso, è chiaro che essendo una realtà piccola dove vivevo non potevo espandere nella pratica la recitazione, il cinema, mi tarpava l’anima, dopo un po’ di sforzi ho fatto il passo. Provai ad entrare al centro sperimentale, arrivai fino al propedeutico, tutte le mattine il treno per Roma, tornavo la sera e la mattina dopo uguale. Non sono entrato, l’anno dopo ho provato alla scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté. Già dai provini sentivo che era adatta a me, era una casa, una politica più vicina alla mia concezione di fruibilità dell’arte, rendere la partecipazione ai corsi gratuiti. Sono entrato. Mi ha dato e mi sta dando tanto, è stato un inizio concreto per me.

La cosa più importante per me sono stati gli incontri, gli altri ragazzi, come Luca Maria Vannuccini. Cresciamo insieme, soprattutto alcuni di noi, con legami profondi che vanno oltre alla didattica. 


Raccontaci la tua esperienza nel film Lovely boy in particolare questo senso di appartenenza del personaggio, della trap come stile di vita dove influenza i giovani. E quanto senti tuo ‘’Lovely boy’’ al di fuori del film?

Mi sono sentito parte integrante del progetto per quello che vuole raccontare e l’intensità con cui lo fa, è uno spaccato realistico. È un contesto che conosco, anche se vengo da una situazione di vita sicuramente meno borghese di quella raccontata nel film, è chiaro comunque che il film non parla di trap, è un contorno, il contesto, il tema è la tossicodipendenza. Penso nel film sia stata fondamentale la presenza di Davide Zurolo, come casting, che ringrazierò sempre per avermi avviato. Ho fatto da spalla, provinando gli altri attori per il progetto e questo mi ha sicuramente aiutato poi nel lavoro, era un processo per me già iniziato. Se vuoi fare bene un film devi incarnare il progetto, non tanto il personaggio, quella è una conseguenza.

Fly, il mio personaggio, è decisamente lontano da me, Pariolino, manager, ma se capisci il progetto il concetto di verità si riflette in qualunque cosa tu faccia, al di là del ruolo in sé. Io ed Enrico Borello (anche lui mio compagno di corso alla Volonté) abbiamo lavorato molto insieme per questo progetto, ci siamo interrogati, sperimentato nuovi modi di agire e vivere storia e personaggi, insieme le cose hanno un’altra qualità. Lettieri ci ha lasciato fare, ha dato molto spazio alla libertà e all’improvvisazione o intuizioni di ognuno di noi. 

Lovely Boy (2021) | Sky Original

Come ti sei trovato con i colleghi?

È stato un set passionale, ho capito molte cose. La difficoltà è stata calibrarmi con il mezzo del cinema, e tutto quello che gira dentro e attorno ad un set. Ho capito durante, e ho imparato da ogni persona sul set. Conosciuto ragazzi con cui siamo diventati amici dentro e fuori dal set. Da chi aveva più esperienza pratica di me ho imparato come “guardare’’ la macchina. Alla fine il discorso è che questo è un mestiere fatto di pratica, devi fare esperienza sul campo. Un po’ come un artigiano, un muratore, inutile spiegare come si fa perché poi facendo capisci, sbagliando e imparando.


Prima hai detto che la chiave di lettura per un personaggio è abbracciare a 360 gradi un progetto, è stato uguale anche per luna park?

No. Ogni lavoro per me è diverso ed ha un approccio diverso. Sono un emergente, Luna park è stata la mia prima esperienza in assoluto in un set, ho fatto un lavoro diverso sul personaggio insieme a Roberto Evangelista (nella serie interpreta mio fratello) è stato bello come primo approccio. E’ stato, per me, un progetto che per quello di cui parla non mi porta ad avere lo stesso coinvolgimento. In Lovely boy mi sono scontrato con tematiche a cui tengo di più, come la tossicodipendenza.

Luna Park (2021) | Netflix

Come è stata l’esperienza di lavoro con Francesco Lettieri? Ti ha lasciato abbastanza spazio per esprimerti?

Assolutamente, ci ha lasciati liberi. L’ho conosciuto nella prima fase dei provini dove facevo da spalla, ha una visione concreta del cinema, penso sia molto umano e lo ringrazio per la fiducia riposta nel mio lavoro. La cosa naturalmente è ricambiata da parte mia.

Hai degli attori di riferimenti italiani o stranieri?

Di base no, mi ispiro più a dinamiche e persone che incontro quotidianamente nella vita di tutti i giorni. Vivendo e osservando. Preferisco prendere spunto da altre arti che non siano solo la recitazione, anche cose insignificanti che mi stimolano. Le persone, soprattutto, nei bar. Detto questo si, nel mondo del cinema ho ammirazione per molti artisti. Senza citare i big, che momentaneamente non mi interessano più, seguo più la nuova wave, uno stile fresco diciamo: Robert Pattinson, Shia Labeouf, Timothee Chalamet. Un attore/artista che mi ha sempre segnato da quando sono un ragazzino è Jim Carrey. 


Registi con cui vorresti lavorare e ruoli che vorresti interpretare?

Il mio regista preferito da un po’ è Xavier Dolan, un film come Mommy è uno di quei film in cui avrei voluto partecipare, quello che racconta e il modo in cui lo fa, il ruolo del protagonista è pazzesco. Onestamente ultimamente mi sta annoiando il cinema più classico, anche autoriale. Preferisco il documentario o i docufilm, sono più stimolanti. In Italia per me il cinema di Caligari ne è l’esempio. Le scelte attoriali e di girato in Amore tossico hanno rivoluzionato il mio pensiero cinematografico.
Ci sono buoni registi ultimamente che seguono quell’onda di freschezza in cui mi ci ritrovo come i fratelli D’innocenzo o Carpignano, che prende quella linea docufilm. 

Ultimamente ho visto su Netflix un film francese chiamato Shéhérazade. Ha questa forza di mescolare, nelle scelte, realtà e finzione. E’ una licenza poetica direi. Si avvicina più alla mia idea di cinema, seppur mi rendo conto che per un attore può essere limitante. Ma è questo ciò che mi piace, mi stimola e mi assorbe ora. È chiaro che per certi film servono attori nel senso stretto del termine, ma una cosa non escluda l’altra, ed è un concetto quello “dell’attore” che non ho mai condiviso. 


Prima ci hai confessato che sei una persona incostante tranne che nella recitazione, ma vediamo che stai facendo molte cose oltre la recitazione. È il tuo punto di forza?

Si e no, tendo a lasciare le cose in sospeso. Ha i suoi pro e contro. Penso che si, possa essere un punto di forza. La “sospensione” è una mia caratteristica.  Non è qualcosa di statico per me, anzi è un qualcosa in continuo movimento come concetto.  Ciò che fai non deve essere sempre concluso, a livello filosofico proprio. Prendi un finale aperto di un film ad esempio. Non è per forza negativo? Potrebbe essere la sua forza, una scelta artistica, poetica, una scelta e basta, questo fa parte della vita.

Questa concezione che tutto deve essere portato a termine per me è sbagliata, non lascia aperti nuovi scenari. A volte bisogna lasciare che le cose accadano naturalmente, ti arrivino e si aprono strade diverse, più binari, se lo chiudi questo non avviene. Tra la figura del cerchio che conosciamo tutti e quella del cerchio Zen chiamato ‘’Ensò’’ preferisco di gran lunga questo, se lo andate a vedere, come è disegnato, gli artisti che lo fanno lasciando al cerchio sempre uno spazio aperto.

Luna Park (2021) | Netflix
Le influenze di ogni tipo in quello che facciamo come artisti per me è fondamentale. La musica nel mio modo di ‘’essere attore’’, in particolare la trap. È nata questa cosa che vogliamo portare la trap nel cinema italiano, e non è un caso che abbiamo fatto Lovely boy, parlo al plurale perché non sono da solo e c’è una comunità che vogliono portare aria fresca, new wave. La trap vuoi o non vuoi ha ridimensionato la concezione di musica, schietto ed essenziale, ma non per forza banale. Uno dei miei artisti preferiti è Basquiat. Chiaro non faceva quadri di chissà quale complessità artistica oggettiva, ma cosa vuol dire? È proprio quello il punto, all’epoca rivoluzionò con la sua complessa semplicità il modo di fare arte.

Nel film c’è una battuta di Nic che spiega la differenza tra trap e rap ‘’noi non abbiamo contenuti, lo facciamo apposta’’. Vorrei portare questa concezione nel cinema: il non contenuto è un contenuto. Il vuoto è un contenuto ed anche molto pieno direi. Vorrei rompere le regole di lavoro, sociali e di dresscode, svecchiare un po’ il sistema. Poter “rivoluzionare” questo mestiere.

Spesso si dice che il pubblico non sa cosa vuole vedere finché non lo vede, tu sei d’accordo? 

Si. È importante creare un senso di apparenza tra quello che facciamo nell’arte e le persone. Dobbiamo offrirlo noi però. Il problema non è il pubblico che non è pronto ma quello che viene proposto. Perché i ragazzi di oggi si legano di più al movimento musicale trap, che al calcio rispetto al passato? Perché è quello che più li rappresenta oggi, e anziché criticare, dovrebbero e dovremmo, capire che è così, è un fatto. Creiamo appartenenza con ciò che ci rappresenta, con chi racconta le nostre storie. Dovremmo trovare un punto di rottura, in modo intelligente.

Dopo un periodo come questo ci può essere un risveglio nelle coscienze delle persone. Un risveglio collettivo e artistico, e sta accadendo penso. Sdoganare, in Italia soprattutto, che un attore può fare il cantante e viceversa cosa che non accade perché ci sono delle regole preimpostate che non rendono fluida l’artisticità di un individuo. 


Hai dei progetti dopo la conclusione della Volonté?

Per ora no, potrebbero esserci delle cose in ballo, ma sto in un periodo di sperimentazione e riflessione, anche su altre arti. Mi confronto continuamente, sto scrivendo molta musica, canzoni, l’ho sempre fatto ora lo sto concretizzando, nonostante la mia incostanza, sono comunque in un mood di ricerca. Voglio crescere come artista onestamente, non solo come attore.


Vorresti dare consigli a chi vorrebbe iniziare un percorso di recitazione nel cinema?

Non sono la persona adatta a dare consigli.  Io non mi sento un attore, perché per me l’attore è una persona, un essere umano, più esseri umani. Forse questo. L’attore è un essere umano, attore non vuol dire un cazzo. Il mio è stato un inizio particolare, ogni percorso è diverso. Sicuramente non è da dove vieni che ti limita a fare le cose, ma dove vuoi arrivare. Difficoltà incluse. E sicuramente non è un mestiere che si può fare da soli. Perché un essere umano non sta da solo. 


L’arte, tutto questo, può essere un mezzo per salvarsi. 

E questo nel mio non essere nessuno, ma un umano lo dico ai ragazzi che non hanno appigli.

L’arte può essere Salvezza.

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