Oggi è fra i professionisti che hanno dato vita alla società Cattive Produzioni.
Io sapevo, quando ho iniziato, che dovevo laurearmi e fare una scuola, che per la mia crescita personale, in quel momento della mia vita, era fondamentale. Spesso si crea quella dicotomia tra accademici e non, ma non è vero che uno è migliore dell’altro. Lo studio accademico sicuramente ti da tanti strumenti, ma devi essere tu capace di sfruttarli.
Il mio ruolo è quello di Sonia, una delle pazienti curate dal finto medico Frank Matano. Nella scena, affronto un parto prematuro con l’aiuto di Matano e del “vero medico” Diego Abatantuono. Ho passato un mese a studiare i processi del parto, vedevo video su YouTube, testimonianze.
È stato presentato in anteprima ad “Alice nella città”. Durante la proiezione si è creato un momento stupendo. Vedere il ritorno in sala delle persone è stato fantastico!
Era l’estate del 2014 ed ero nel pieno del mio percorso universitario. Durante il festival viene organizzato un laboratorio dove vengono chiamati diversi professionisti e per quell’edizione chiamarono Elio Germano.
Ero entusiasta. Il corto di cui parlavi è stato un lavoro per Emergency. Elio è stato il regista. Il progetto poteva sembrare semplice, ma essere diretta da lui è stato davvero formativo. Elio Germano ha un’energia molto coinvolgente, era sempre sul pezzo, in ogni scena che studiavamo. C’è un momento in cui sei più stanco e cala la concentrazione ma lui, proprio lì, ti dà sempre un input. Spingere e andare fino in fondo. È stato prezioso lavorare con lui. Il suo enorme bagaglio, io agli inizi, la necessità e la voglia di raccontare qualcosa. Mi ha insegnato a comunicare in un modo diverso, più sottile.
Di solito inizio studiando tutto il mondo che circonda il personaggio: chi è e cosa fa, come è arrivato il personaggio ad una determinata situazione che dovrò interpretare. Poi passo ad uno studio più approfondito, cercare le sue sfumature nelle relazioni, perché reagisce in un determinato modo.
Quando sei sul set, poi, è un altro mondo, ognuno ha il suo compito. Quando sei lì, nonostante l’emozione, devi essere in relazione con tutto ciò che ti circonda e soprattutto con la persona con cui sei in scena. Stare completamente nelle circostanze che ti vengono date, nel contesto del personaggio. Questo per me avviene grazie alla consapevolezza che acquisisco dallo studio.
No, separo molto le due cose. Magari ci penso, ma nella mia vita sono sempre io, non interferisco con il lavoro.
Allo stesso tempo è importante trovare un regista che ti aiuti a superare i limiti, a rompere le barriere. Così si cresce tantissimo. Ad esempio, a proposito dell’esperienza con Guido Chiesa, lui ti lascia libera di fare, ma è anche molto chiaro nel dire quello che vuole. Nel cinema si lavora con le immagini e il regista rappresenta lo sguardo esterno tecnico ed emotivo a cui devi affidarti. Devi seguire le indicazioni che ti dà, ti devi fidare.
Personalmente penso che il cinema debba avere la prerogativa di voler raccontare qualcosa. Raccontare emozioni o esperienze che toccano nel profondo. Dramma o commedia che sia, dietro ci deve essere l’esigenza di condividere qualcosa. Per me è questo il cinema.
Mi piace scoprire il lato umano delle cose: un film non è altro che l’insieme del lavoro di molti. Mi piace vedere come un’idea può diventare arte. Personalmente non ho un genere preferito, guardo di tutto. Mi piace ogni volta scoprire come le storie vengono raccontate.
Si, “A fior di pelle” è stato anche questo presentato al festival del cinema di Roma (“Alice nella città”). Girato l’anno dopo aver finito il mio percorso al Centro Sperimentale, la partecipazione a questo progetto è stata molto importante per me. È un lavoro che ha significato un passaggio, a livello professionale e di impegno personale. Una preparazione più strutturata.
Nel corto interpreto Camilla, la giovane fidanzata del papà del protagonista, Tommaso, di 11 anni. Viene affrontato il rapporto di Tommaso con questa giovane ragazza che si ritrova in casa. Lorenzo ha un suo sguardo, un modo di raccontare le cose davvero personale e molto delicato, raro.
Da due anni lavoro a “Cattive Produzioni”. Nasce come collettivo artistico, per poi diventare società di produzione nel 2019 grazie ad un bando vinto della Regione Puglia. Credo davvero tanto in questo progetto. Stiamo crescendo molto.
Diciamo che se mi proietto nel futuro, tra dieci anni mi ci vedo ancora a lavorare in Cattive Produzioni. La cosa più bella è portare avanti un’idea comune, un’idea di cinema che cerchi di costruire insieme. Progetti futuri come attrice sì, c’è qualcosa in ballo ma diciamo, per scaramanzia, preferirei non dire nulla. Sicuramente sarà una bella sfida!