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Cecilia Napoli
Cecilia Napoli
ATTRICE
Cecilia Napoli
ATTRICE
Cecilia Napoli è un’attrice romana. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza e Diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Tra i suoi ultimi lavori segnaliamo un ruolo da coprotagonista nel cortometraggio “A fior di pelle” di Lorenzo Tardella e una partecipazione nel film “Una notte da dottore” regia di Guido Chiesa, da poco nelle sale cinematografiche. Entrambi presentati ad “Alice nella città”.

Oggi è fra i professionisti che hanno dato vita alla società Cattive Produzioni.

Come è nata la tua passione per la recitazione e quando hai deciso d’intraprendere la tua carriera d’attrice? 

Ho iniziato a fare teatro nel mio paese natale, Capena, fuori Roma, durante le medie con un piccolo gruppo amatoriale. Realizzavamo spettacoli di danza e recitazione. È una passione che ho coltivato negli anni. Crescendo ti chiedi: “Voglio che sia questa la mia vita, il mio mestiere?” Allora ho scelto un liceo con indirizzo arti e spettacolo, mi sono laureata in cinema e poi sono riuscita ad entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
È un mondo particolare. Non è necessario fare una scuola per lavorare poi come attore, ma io ho sentito il bisogno di fare questo percorso, per me. La cosa importante è aver passione, ma anche essere concreti e costanti, nonostante si facciano altre cose.
Ci vuole la consapevolezza di sapere quello che si vuole.

Io sapevo, quando ho iniziato, che dovevo laurearmi e fare una scuola, che per la mia crescita personale, in quel momento della mia vita, era fondamentale. Spesso si crea quella dicotomia tra accademici e non, ma non è vero che uno è migliore dell’altro. Lo studio accademico sicuramente ti da tanti strumenti, ma devi essere tu capace di sfruttarli. 

Una notte da dottore (2021)

Ultima esperienza nel cinema con Guido Chiesa il film “Una notte da dottore”, che impressione hai avuto di lui e del film? 

È stata un’esperienza fantastica, c’era un’atmosfera molto bella sul set. Guido ti mette nella condizione di lavorare bene e questo è veramente importante.

Il mio ruolo è quello di Sonia, una delle pazienti curate dal finto medico Frank Matano. Nella scena, affronto un parto prematuro con l’aiuto di Matano e del “vero medico” Diego Abatantuono. Ho passato un mese a studiare i processi del parto, vedevo video su YouTube, testimonianze.

La ricerca del personaggio è stata la parte più bella. Poi sul set tutto si concretizza. Per non parlare dell’emozione di girare la scena finale con la bambina di dodici giorni fra le braccia. Il film è una commedia leggera che però ha dei momenti teneri e profondi.

È stato presentato in anteprima ad “Alice nella città”. Durante la proiezione si è creato un momento stupendo. Vedere il ritorno in sala delle persone è stato fantastico! 

Con Elio Germano hai lavorato ad un suo corto, vero? 

Ho fatto “La valigia dell’attore” con lui, una manifestazione che si svolge alla Maddalena ogni anno, dedicata al lavoro dell’attore e intitolata a Gian Maria Volonté.

Era l’estate del 2014 ed ero nel pieno del mio percorso universitario. Durante il festival viene organizzato un laboratorio dove vengono chiamati diversi professionisti e per quell’edizione chiamarono Elio Germano.

Ero entusiasta. Il corto di cui parlavi è stato un lavoro per Emergency. Elio è stato il regista. Il progetto poteva sembrare semplice, ma essere diretta da lui è stato davvero formativo. Elio Germano ha un’energia molto coinvolgente, era sempre sul pezzo, in ogni scena che studiavamo. C’è un momento in cui sei più stanco e cala la concentrazione ma lui, proprio lì, ti dà sempre un input. Spingere e andare fino in fondo. È stato prezioso lavorare con lui. Il suo enorme bagaglio, io agli inizi, la necessità e la voglia di raccontare qualcosa. Mi ha insegnato a comunicare in un modo diverso, più sottile. 

Come prepari il lavoro su un personaggio che dovrai interpretare? 

Di solito inizio studiando tutto il mondo che circonda il personaggio: chi è e cosa fa, come è arrivato il personaggio ad una determinata situazione che dovrò interpretare. Poi passo ad uno studio più approfondito, cercare le sue sfumature nelle relazioni, perché reagisce in un determinato modo.

La cosa più importante, sembra banale, è l’immaginazione. Quello che cerco, all’inizio, è cosa ho in comune col personaggio. Per tutto ciò che non ho in comune, invece, lavoro di immaginazione, cerco di comprenderlo a 360°, i suoi conflitti, i suoi pensieri. Lo studio a livello fisico, il corpo è fondamentale, forse viene prima di tutto. 

Quando sei sul set, poi, è un altro mondo, ognuno ha il suo compito. Quando sei lì, nonostante l’emozione, devi essere in relazione con tutto ciò che ti circonda e soprattutto con la persona con cui sei in scena. Stare completamente nelle circostanze che ti vengono date, nel contesto del personaggio. Questo per me avviene grazie alla consapevolezza che acquisisco dallo studio. 

I Topi 2 (2020)

Quando prepari il personaggio ti capita di sperimentarlo anche nella vita reale? 

No, separo molto le due cose. Magari ci penso, ma nella mia vita sono sempre io, non interferisco con il lavoro. 

Quanto sono importanti le indicazioni del regista e se preferisci essere più libera durante le riprese o comunque essere guidata passo per passo? 

In generale con gli estremismi non mi trovo mai bene. Li sento come una costrizione. Nella mia piccola esperienza penso che bisogna venirsi incontro, ascoltare e capire cosa si sta dicendo davvero nel profondo.

Allo stesso tempo è importante trovare un regista che ti aiuti a superare i limiti, a rompere le barriere. Così si cresce tantissimo. Ad esempio, a proposito dell’esperienza con Guido Chiesa, lui ti lascia libera di fare, ma è anche molto chiaro nel dire quello che vuole. Nel cinema si lavora con le immagini e il regista rappresenta lo sguardo esterno tecnico ed emotivo a cui devi affidarti. Devi seguire le indicazioni che ti dà, ti devi fidare.

Che idea hai del cinema nei confronti di chi lo va a vedere, da spettatrice? 

Personalmente penso che il cinema debba avere la prerogativa di voler raccontare qualcosa. Raccontare emozioni o esperienze che toccano nel profondo. Dramma o commedia che sia, dietro ci deve essere l’esigenza di condividere qualcosa. Per me è questo il cinema.

Mi piace scoprire il lato umano delle cose: un film non è altro che l’insieme del lavoro di molti. Mi piace vedere come un’idea può diventare arte. Personalmente non ho un genere preferito, guardo di tutto. Mi piace ogni volta scoprire come le storie vengono raccontate. 

Campari 'Red dress' | Regia di Enrico Bellinghieri (2019)

Invece a proposito del corto di Lorenzo Tardella, A fior di pelle, a cui hai partecipato? 

Si, “A fior di pelle” è stato anche questo presentato al festival del cinema di Roma (“Alice nella città”). Girato l’anno dopo aver finito il mio percorso al Centro Sperimentale, la partecipazione a questo progetto è stata molto importante per me. È un lavoro che ha significato un passaggio, a livello professionale e di impegno personale. Una preparazione più strutturata.

Nel corto interpreto Camilla, la giovane fidanzata del papà del protagonista, Tommaso, di 11 anni. Viene affrontato il rapporto di Tommaso con questa giovane ragazza che si ritrova in casa. Lorenzo ha un suo sguardo, un modo di raccontare le cose davvero personale e molto delicato, raro. 

Tuoi progetti futuri? 

Da due anni lavoro a “Cattive Produzioni”. Nasce come collettivo artistico, per poi diventare società di produzione nel 2019 grazie ad un bando vinto della Regione Puglia. Credo davvero tanto in questo progetto. Stiamo crescendo molto.

Diciamo che se mi proietto nel futuro, tra dieci anni mi ci vedo ancora a lavorare in Cattive Produzioni. La cosa più bella è portare avanti un’idea comune, un’idea di cinema che cerchi di costruire insieme. Progetti futuri come attrice sì, c’è qualcosa in ballo ma diciamo, per scaramanzia, preferirei non dire nulla. Sicuramente sarà una bella sfida! 

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