HOME
Byron Rosero
Byron Rosero
Regista/Filmmaker
Byron Rosero
Regista/Filmmaker
Byron Rosero, classe 1996, filmmaker e regista indipendente di origini ecuadoregne. All’età di sei anni emigra assieme alle sorelle per raggiungere la madre a Bergamo. Sin da giovane si appassiona al mondo dell’audiovisivo e della musica e ci si avvicina girando e montando autonomamente i video per le proprie cover.
Dalla provincia bergamasca si tuffa nella caotica Milano alla ricerca di stimoli e contaminazioni. Nonostante le difficoltà iniziali, destreggiarsi tra affitti da pagare e la continua ricerca di progetti da realizzare, la fervente città meneghina gli offre le prime occasioni lavorative per mettere in luce il suo talento, una su tutte l’editoriale realizzato per Moncler

Sempre a caccia di nuovi stimoli, per poter professare la sua “visione di bellezza”, fonda insieme a Davide ed Enrico il collettivo “State Vision”, il laboratorio di idee che si pone l’obbiettivo di imporre la propria concezione di narrazione. Ci chiediamo se il suo segreto nell’essere così pronto a schivare le ipocrisie dei tempi moderni ed imporre la sua visione narrativa si celi dietro il suo nome, omonimo del poeta/eroe romantico Lord Byron. Nonostante questo rimane comunque sempre un artista con i piedi per terra e i suoi capisaldi, essenziali anche per una crescita artistica e lavorativa, sono l’affetto della famiglia, la pacatezza che lo contraddistingue e la volontà di dare sempre il massimo per ogni obiettivo prefissato.

Byron, com’è nata la tua passione per il mondo dell’audiovisivo?

Da ragazzo suonavo il violoncello e mi piaceva cantare, ero più o meno in prima superiore. Avevo un canale YouTube dove pubblicavo cover di Conor Maynard, The Wanted, Justin Bieber e Bruno Mars dato che mi piaceva moltissimo la musica pop e con essa anche l’immaginario visivo che si creava attorno a questi cantanti; ed è per questo che ho cominciato ad autoprodurre i miei primi videoclip amatoriali.

Insieme a due miei amici, Aaron e Josè, ho realizzato i primi video. Le location utilizzate erano sempre le stesse, il parco dietro casa mia o la mia stessa casa, e i video erano fatti senza troppe pretese, ma fu proprio così che mi avvicinai alla ripresa e al montaggio.

Questa fase però andò scemando a causa degli impegni familiari, scolastici e con l’arrivo dei primi amori adolescenziali e senza che me ne rendessi conto ero già in quarta superiore. Al tempo frequentavo un istituto tecnico con indirizzo informatico, ma arrivato in quarta mi resi conto che forse avevo sbagliato indirizzo e, anche se sapevo che ormai era tardi per cambiare scuola, ci provai lo stesso.

Avevo bisogno di rispolverare qualcosa che mi piacesse, quindi chiesi un prestito a tutti i componenti della mia famiglia e mi comprai la Sony7S2, che al tempo era una signora videocamera e anche ora si difende bene. La sera, fomentato dall’acquisto, contattai Bello Figo per una collaborazione, gli scrissi un papiro spiegandogli perché dovesse accettare di lavorare con me e dopo un ora mi arrivò una sua risposta, senza un “ciao” o un “grazie della proposta”, solo un secco “FACCIAML”. Fu da quel momento che iniziai a dedicarmi completamente al mondo video, facevo live, serate in discoteca, videoclip ai rapper emergenti di paese e anche qualche video aziendale.

Byron tu hai iniziato da autodidatta oppure apprendendo e lavorando su dei set?

Ho frequentato la scuola per diventare perito informatico a Bergamo e dopo essermi diplomato volevo intraprendere un percorso audiovisivo. Subito dopo il diploma ho lavorato presso “L’Eco di Bergamo” nel progetto CheClasse, un progetto educativo di “Media Education” rivolto agli studenti delle scuole superiori, in cui affiancavo i ragazzi durante la produzione di filmati e montaggi che avevano l’obiettivo di aumentare la consapevolezza degli alunni riguardo al rapporto con i social e alla comunicazione. Quel percorso fu una grande scuola per me sotto diversi aspetti.
Dopo un anno mi licenziai e iniziai a cercare casa a Milano, nella speranza di poter frequentare una scuola come SAE, IULM, IED o la Civica Scuola di Cinema. I costi o gli orari però erano qualcosa di utopico dovendo pensare di pagare un affitto a Milano, l’università, cercare lavoro come videomaker e nel frattempo anche studiare. Sicuramente c’è chi ci riesce, ma sarebbero stati anni veramente punk. Inoltre la verità è che in famiglia siamo solo mia madre, le mie tre sorelle ed io, e semplicemente non volevo continuare a pesare su di loro, anzi, volevo iniziare ad essergli d’aiuto.
Fortunatamente però, durante questi anni a Milano, ho incontrato persone davvero speciali che sono state molto importanti in questo mio percorso come Manuel, “Hell Raton”, insieme alla famiglia di Machete, Enea Colombi e il team di Borotalco tv, da cui ho imparato molto e dei quali mi porto dietro ogni singolo consiglio.

Capiamo benissimo la difficoltà di far conciliare il lato artistico con la vita privata e il lavoro. Se si arresta la carriera e la formazione artistica è difficile riprendere.

È sempre un’altalena questo lavoro, si sale e si scende, ci si ferma e si riparte, ma è anche l’aspetto positivo di questo mondo, bisogna abbracciarlo nella sua totalità.

Secondo te quali sono gli elementi che bilancerebbero questo ambiente lavorativo?

Milano è una città molto frenetica, come questo lavoro d’altra parte. Va a periodi, a volte ti senti fagocitato da questa metropoli altre lasciato in un angolo, altre ti senti coccolato come un neonato perché sembra andare tutto bene ed altre invece senti che ti fa lo sgambetto senza nemmeno avvisare. Io trovo il mio equilibrio quando torno dalla mia famiglia e quando rivedo Bergamo. Milano le volte mi pesa, troppo troppo fashion e così superficiale nei rapporti interpersonali.

La verità è che Bergamo e Milano le vedo come le mie due mamme, Milano la mamma in carriera, sempre attenta allo stile e a ciò che dice la gente sul suo conto e che ha poco tempo per sé stessa e per i suoi figli, Bergamo invece è una mamma più semplice, sia nello stile che nella vita, si prende i suoi tempi e i suoi spazi, non corre, passeggia. Per me sono complementari, l’una ha bisogno dell’altra, per questo è come se avessi un bisogno quasi fisiologico di viverle entrambe per stare bene.

Ambisci a diventare un regista cinematografico, se sì a chi ti ispiri? 

Non sono un grande fan del cinema, guardo davvero pochi film e spesso quelli che guardo sono super trash. Ho scelto il mondo audiovisivo perché lo uso come valvola di sfogo, non perché ami il cinema o perché ambisca a diventare regista cinematografico. 

Ci puoi raccontare del tuo collettivo, del tuo progetto State Vision?

L'idea di State Vision nasce inizialmente nel 2019, con una mail e una pagina Instagram creata con il nome di “Midnight Productions”, con la quale contattavo le aziende o i rapper emergenti. Non era un vero collettivo, perché ero da solo, ma cercavo di farlo passare come tale.

All’epoca vivevo a Lambrate e avevo un coinquilino che studiava cinema alla Civica di Milano, Davide Curto. Lui mi fece conoscere alcuni direttori della fotografia, producers e altri studenti come lui che provai ad inserire nel mio progetto e per questo, anche se non ho mai studiato realmente in quella scuola, per me era come se la frequentassi, magari saltuariamente, ma un legame con quella scuola, anche se minimo, lo sentivo.

Dopo un anno ho trovato Enrico Valoti. Ci siamo conosciuti durante un timelapse aziendale dell’estate 2020, Enrico mi passò di fianco mentre andava in Civica e da quel momento in poi iniziammo a collaborare costantemente. Enrico è un amico e il direttore della fotografia del collettivo; con lui ci fu subito sintonia e riuscimmo a realizzare i primi video musicali post pandemia e in seguito si è unito al collettivo anche Davide, dando vita a State.

State Vision però prese effettivamente vita nel momento in cui insieme realizzammo un video per Sony che in realtà non andò affatto come avremmo voluto... uno dei peggiori set del 2020. Tante cose andarono male, eravamo in zona rossa, non ci trovavamo con la producer e con la produzione, era il nostro primo video in major ed eravamo super acerbi, non che ora non lo siamo più, ma ora abbiamo le spalle un pelo più larghe. Non entro nei particolari ma arrivammo a fine set con poco girato ed il video era immontabile. In quel momento ci rendemmo conto che c’era bisogno di una svolta.

Il giorno prima della consegna uscimmo di casa a girare senza produzione, la notte stessa montammo e consegnammo il video a Sony. Lì capimmo di essere un vero team e che ci veniva davvero naturale coprirci le spalle a vicenda. Da quel momento prendemmo seriamente in considerazione di andare a vivere insieme e, dopo una lunga ricerca fatta di innumerevoli “no”, a febbraio di quest’anno trovammo una casa sue due piani, in centro a Milano, che attualmente funge anche da studio e si spera tra non troppo anche da houseparty.

Rizzo - Spaccherei

Come approcci alla realizzazione del video musicale? Oltre l’ascolto ripetuto, il mood, la scenografia, l’utilizzo dei colori, come crei l’atmosfera all’interno del video? Come ti rapporti all’artista e con l’etichetta?

L’approccio è rimasto lo stesso, mi lascio trasportare dalla canzone e scrivo le prime cose che mi suscita il pezzo. Mi piace ascoltare le canzoni mentre sono in autostrada da solo, alzo il volume al massimo e me la “trappo”, nel senso che mi fomento e me la ballo, quando la canzone lo permette.

Mi faccio supportare dalle notes del telefono, ho una nota chiamata “Take” a cui ogni giorno aggiungo delle idee per qualche scena che mi piacerebbe girare un domani. Scrollo quella nota e cerco qualcosa che si potrebbe sposare bene con il mood della canzone su cui sto lavorando.

Prima, insieme ai miei amici che si affacciavano al mondo della musica, Twenty in particolare, con il quale ho realizzato tantissimi video, bastava la videocamera, la macchina di una delle nostre mamme, tanto divertimento e venti euro per la cena, i budget non esistevano. 

Ora la cosa bella è che le major investono sempre un budget nel progetto audiovisivo dell’artista e questo è fantastico perché ti permette di essere più disinibito nella scelta delle location, delle comparse, dello styling, della troupe etc.

Per me la cosa importante è divertirsi mentre lo si fa, essere tra amici, godersi il momento e far sì che quella giornata rimanga un bel ricordo. Se ci sono good vibes tutto scorre. Se un domani tutto diventasse più asettico, rigido e superficiale, sono sicuro che lascerei questo lavoro e mi dedicherei ad altro.

Parlaci del tuo lavoro per Moncler? Come ti è venuta l’idea?

L’idea nasce da Jordan Anderson, creative director del progetto.

In quel lavoro ho collaborato con Nss Factory, produzione che mi ha dato la fiducia e i mezzi per poter realizzare l’editoriale. Con loro c’è stato subito coesione e sintonia. Sono tutti super giovani, ricchi di idee e tanta voglia di fare. 

Quello che ho fatto è stato prendere l’idea di Jordan e trasformarla in video dandole il mio tocco. Quel progetto è stato interessante perché a lavorarci vi erano diverse figure. La trama di questo progetto offre un’espressione visiva decontestualizzando il set design tradizionale e la visione del museo come spazio artistico. È stato frenetico e interessante dirigere un progetto così strutturato. Tornato a casa ero felice.

Moncler - A Night at the Museum

Hai un genere musicale preferito per la realizzazione di videoclip? Puoi dare un consiglio ai giovani filmmakers che si affacciano a questo mondo? Come poter emergere, come differenziarsi dalla massa?

Il mio percorso è stato atipico, nel senso che non ho questa tecnica pazzesca, non ho ricevuto un insegnamento accademico, ho sempre imparato tramite tutorial su YouTube e libri comprati su Amazon. Questo lavoro si può anche iniziare da autodidatta secondo me. Non mi sento di dare consigli, non sono ancora a quei livelli, ne devo fare ancora tanta di strada. Sicuramente però posso consigliare ai ragazzi di non essere schizzinosi con i primi lavori che gli vengono proposti e di essere sempre ottimisti. 
Bisogna costruire buone relazioni nel campo del lavoro per creare stimoli e opportunità. Io ho imparato molto realizzando backstage per spot, film e video musicali. Vedere svariati registi, fotografi, dop, producers e macchinisti lavorare in diversi contenesti, ognuno con la propria attitudine, è stata una scuola pazzesca.

Su cinque backstage solo due mi pagavano, ma a me andava bene così, ciò che mi interessava era stare sul set, non potevo e non dovevo restare a casa a fare niente. Ci rimanevo solo molto male quando, dopo un lavoro non pagato, si dimenticavano anche di inserirmi nei crediti. Mi sentivo usato, ma ci sta, ti ci fai le ossa e impari, impari che in qualsiasi set, piccolo o grande che sia, ognuno è importante e ognuno deve essere pagato, anche se questo comprende togliere budget dalla tua fee. 

Che lavoro fai sul set con l’artista, è preponderante la presenza del direttore artistico?

Nei videoclip mi interfaccio quasi sempre con il manager dell’artista o con l’artista direttamente. Molti miei colleghi che lavorano con artisti che hanno un impatto mediatico molto grande, mi dicono che come registi si interfacciano solo con la major o con il manager e conoscono l’artista solo il giorno delle riprese. Il bello di lavorare con gli artisti però è che ci può essere uno scambio reciproco di energie e spunti, cosa che rende il flusso di idee più stimolante ed emozionante.

Se ci pensi il video che si realizza è in qualche modo la visione dell’artista che risuona in un video 16:9. L’ideale, anche se utopico, sarebbe bersi una birra con l’artista qualche settimana prima dello shooting per conoscersi e provare ad entrare nell’immaginario che lui vorrebbe comunicare, così da poter creare un qualcosa che stimoli sia il regista che l’artista. Quante cose pazze potrebbero nascere?

The Kolors - Cabriolet Panorama Live Session

Fare tanto, anche sbagliare per capire di più. 

Mettersi in gioco sempre! Anche se alcune volte non ci si sentirà pronti, bisogna lanciarsi, semplicemente perché ogni progetto, ogni esperienza è diversa, non saremo mai pronti per quella situazione specifica, quindi se vogliamo scoprirlo, l’unico modo è lanciarsi. 

Diverse volte ho sbagliato in questo ambiente, non avendo un background teorico molte cose non le conoscevo o le davo per scontato. Partivo con la mia Sony a7s II e cercavo di portarmi a casa il video senza shot list, senza team o qualcuno che mi desse una mano.

Mi ricordo uno dei primi video in major che feci nell’estate del 2020, diedi molto per quel progetto, misi anche soldi di tasca mia per poterlo realizzare e per poter pagare tutti, ma comunque il video non uscì mai perché non piaceva all’artista. Mi buttai giù molto e pensai che non avrei più collaborato con quella major, mi davo le colpe di ogni cosa ma dopo qualche giorno di mood da ragazzo Tumblr mi ripresi e proposi all’artista e al management una soluzione. I video realizzati last minute per salvare quella mia falla piacquero molto, ero tornato con un’altra attitudine e da quella apparente caduta arrivarono molti altri progetti.

Tu in genere aspetti che le cose ti capitino oppure le hai già in mente e cerchi qualcosa di preciso?

Quando accetto un progetto, che sia piccolo o grande, lo realizzo e mi ci dedico anima e corpo. Devo dare il massimo a costo di rinunciare a sonno, pasti o riposo. Ovviamente non mi distruggo sempre per ogni progetto, ma se ho questo approccio con tutti i lavori riesco ad essere sereno con me stesso, perché ho la consapevolezza che più di così non potevo fare. Se non lavoro con sufficienza sono cosciente che sto seminando per il futuro, perché è un po’ come dice Goethe: nel momento in cui uno decide senza remore, senza ripensamenti il suo piano A, anche la provvidenza si muove per aiutarlo. Una corrente di eventi verrà in nostro aiuto, facendo sorgere a nostro favore ogni tipo di opportunità e incontri che nessuno avrebbe sognato potessero presentarsi.

Non conosco persone che hanno dato la propria anima in qualcosa in cui credevano fino al midollo e non gli si è presentata un’occasione per poter dimostrare a loro stessi o agli altri quanto valgono.

Progetti futuri?

Con il team stiamo strutturando un progetto per portare State Vision nelle scuole superiori, il progetto sarà educativo indirizzato sui media e sui lavori che riguardano questo mondo.

A livello audiovisivo con State abbiamo un po’ di videoclip in ballo, cose tranquille. Abbiamo girato da poco i video di presentazione per i concorrenti di xfactor 2021, realizzato qualche video per quattro concorrenti di Sanremo giovani, da poco abbiamo curato la campagna di Sloggi, un brand che si occupa di intimo femminile e stiamo lavorando a un progetto molto interessante che speriamo di poterne parlare presto.

Invece personalmente ho alcuni progetti su cui sto lavorando, quando saranno più concreti ne parlerò super volentieri, ad ora va bene così. Però vi posso dire che come collettivo siamo molto versatili, ognuno ha un’attitudine punk a modo suo, abbiamo tante passioni che ci portano a non essere sempre e solo fossilizzati sui video. Davide oltre ad essere un montatore è un breaker e qualche anno fa insegnava anche, lo chiamiamo “il saggio” perché sembra arrivato da altri tempi. Enrico invece, oltre ad essere dop e colorist, è un amante della montagna e delle moto. 

GALLERY
No items found.
CONTATTACI