Sempre a caccia di nuovi stimoli, per poter professare la sua “visione di bellezza”, fonda insieme a Davide ed Enrico il collettivo “State Vision”, il laboratorio di idee che si pone l’obbiettivo di imporre la propria concezione di narrazione. Ci chiediamo se il suo segreto nell’essere così pronto a schivare le ipocrisie dei tempi moderni ed imporre la sua visione narrativa si celi dietro il suo nome, omonimo del poeta/eroe romantico Lord Byron. Nonostante questo rimane comunque sempre un artista con i piedi per terra e i suoi capisaldi, essenziali anche per una crescita artistica e lavorativa, sono l’affetto della famiglia, la pacatezza che lo contraddistingue e la volontà di dare sempre il massimo per ogni obiettivo prefissato.
Insieme a due miei amici, Aaron e Josè, ho realizzato i primi video. Le location utilizzate erano sempre le stesse, il parco dietro casa mia o la mia stessa casa, e i video erano fatti senza troppe pretese, ma fu proprio così che mi avvicinai alla ripresa e al montaggio.
Avevo bisogno di rispolverare qualcosa che mi piacesse, quindi chiesi un prestito a tutti i componenti della mia famiglia e mi comprai la Sony7S2, che al tempo era una signora videocamera e anche ora si difende bene. La sera, fomentato dall’acquisto, contattai Bello Figo per una collaborazione, gli scrissi un papiro spiegandogli perché dovesse accettare di lavorare con me e dopo un ora mi arrivò una sua risposta, senza un “ciao” o un “grazie della proposta”, solo un secco “FACCIAML”. Fu da quel momento che iniziai a dedicarmi completamente al mondo video, facevo live, serate in discoteca, videoclip ai rapper emergenti di paese e anche qualche video aziendale.
È sempre un’altalena questo lavoro, si sale e si scende, ci si ferma e si riparte, ma è anche l’aspetto positivo di questo mondo, bisogna abbracciarlo nella sua totalità.
Milano è una città molto frenetica, come questo lavoro d’altra parte. Va a periodi, a volte ti senti fagocitato da questa metropoli altre lasciato in un angolo, altre ti senti coccolato come un neonato perché sembra andare tutto bene ed altre invece senti che ti fa lo sgambetto senza nemmeno avvisare. Io trovo il mio equilibrio quando torno dalla mia famiglia e quando rivedo Bergamo. Milano le volte mi pesa, troppo troppo fashion e così superficiale nei rapporti interpersonali.
La verità è che Bergamo e Milano le vedo come le mie due mamme, Milano la mamma in carriera, sempre attenta allo stile e a ciò che dice la gente sul suo conto e che ha poco tempo per sé stessa e per i suoi figli, Bergamo invece è una mamma più semplice, sia nello stile che nella vita, si prende i suoi tempi e i suoi spazi, non corre, passeggia. Per me sono complementari, l’una ha bisogno dell’altra, per questo è come se avessi un bisogno quasi fisiologico di viverle entrambe per stare bene.
Non sono un grande fan del cinema, guardo davvero pochi film e spesso quelli che guardo sono super trash. Ho scelto il mondo audiovisivo perché lo uso come valvola di sfogo, non perché ami il cinema o perché ambisca a diventare regista cinematografico.
All’epoca vivevo a Lambrate e avevo un coinquilino che studiava cinema alla Civica di Milano, Davide Curto. Lui mi fece conoscere alcuni direttori della fotografia, producers e altri studenti come lui che provai ad inserire nel mio progetto e per questo, anche se non ho mai studiato realmente in quella scuola, per me era come se la frequentassi, magari saltuariamente, ma un legame con quella scuola, anche se minimo, lo sentivo.
State Vision però prese effettivamente vita nel momento in cui insieme realizzammo un video per Sony che in realtà non andò affatto come avremmo voluto... uno dei peggiori set del 2020. Tante cose andarono male, eravamo in zona rossa, non ci trovavamo con la producer e con la produzione, era il nostro primo video in major ed eravamo super acerbi, non che ora non lo siamo più, ma ora abbiamo le spalle un pelo più larghe. Non entro nei particolari ma arrivammo a fine set con poco girato ed il video era immontabile. In quel momento ci rendemmo conto che c’era bisogno di una svolta.
Il giorno prima della consegna uscimmo di casa a girare senza produzione, la notte stessa montammo e consegnammo il video a Sony. Lì capimmo di essere un vero team e che ci veniva davvero naturale coprirci le spalle a vicenda. Da quel momento prendemmo seriamente in considerazione di andare a vivere insieme e, dopo una lunga ricerca fatta di innumerevoli “no”, a febbraio di quest’anno trovammo una casa sue due piani, in centro a Milano, che attualmente funge anche da studio e si spera tra non troppo anche da houseparty.
L’approccio è rimasto lo stesso, mi lascio trasportare dalla canzone e scrivo le prime cose che mi suscita il pezzo. Mi piace ascoltare le canzoni mentre sono in autostrada da solo, alzo il volume al massimo e me la “trappo”, nel senso che mi fomento e me la ballo, quando la canzone lo permette.
Prima, insieme ai miei amici che si affacciavano al mondo della musica, Twenty in particolare, con il quale ho realizzato tantissimi video, bastava la videocamera, la macchina di una delle nostre mamme, tanto divertimento e venti euro per la cena, i budget non esistevano.
Per me la cosa importante è divertirsi mentre lo si fa, essere tra amici, godersi il momento e far sì che quella giornata rimanga un bel ricordo. Se ci sono good vibes tutto scorre. Se un domani tutto diventasse più asettico, rigido e superficiale, sono sicuro che lascerei questo lavoro e mi dedicherei ad altro.
L’idea nasce da Jordan Anderson, creative director del progetto.
Quello che ho fatto è stato prendere l’idea di Jordan e trasformarla in video dandole il mio tocco. Quel progetto è stato interessante perché a lavorarci vi erano diverse figure. La trama di questo progetto offre un’espressione visiva decontestualizzando il set design tradizionale e la visione del museo come spazio artistico. È stato frenetico e interessante dirigere un progetto così strutturato. Tornato a casa ero felice.
Su cinque backstage solo due mi pagavano, ma a me andava bene così, ciò che mi interessava era stare sul set, non potevo e non dovevo restare a casa a fare niente. Ci rimanevo solo molto male quando, dopo un lavoro non pagato, si dimenticavano anche di inserirmi nei crediti. Mi sentivo usato, ma ci sta, ti ci fai le ossa e impari, impari che in qualsiasi set, piccolo o grande che sia, ognuno è importante e ognuno deve essere pagato, anche se questo comprende togliere budget dalla tua fee.
Nei videoclip mi interfaccio quasi sempre con il manager dell’artista o con l’artista direttamente. Molti miei colleghi che lavorano con artisti che hanno un impatto mediatico molto grande, mi dicono che come registi si interfacciano solo con la major o con il manager e conoscono l’artista solo il giorno delle riprese. Il bello di lavorare con gli artisti però è che ci può essere uno scambio reciproco di energie e spunti, cosa che rende il flusso di idee più stimolante ed emozionante.
Se ci pensi il video che si realizza è in qualche modo la visione dell’artista che risuona in un video 16:9. L’ideale, anche se utopico, sarebbe bersi una birra con l’artista qualche settimana prima dello shooting per conoscersi e provare ad entrare nell’immaginario che lui vorrebbe comunicare, così da poter creare un qualcosa che stimoli sia il regista che l’artista. Quante cose pazze potrebbero nascere?
Diverse volte ho sbagliato in questo ambiente, non avendo un background teorico molte cose non le conoscevo o le davo per scontato. Partivo con la mia Sony a7s II e cercavo di portarmi a casa il video senza shot list, senza team o qualcuno che mi desse una mano.
Mi ricordo uno dei primi video in major che feci nell’estate del 2020, diedi molto per quel progetto, misi anche soldi di tasca mia per poterlo realizzare e per poter pagare tutti, ma comunque il video non uscì mai perché non piaceva all’artista. Mi buttai giù molto e pensai che non avrei più collaborato con quella major, mi davo le colpe di ogni cosa ma dopo qualche giorno di mood da ragazzo Tumblr mi ripresi e proposi all’artista e al management una soluzione. I video realizzati last minute per salvare quella mia falla piacquero molto, ero tornato con un’altra attitudine e da quella apparente caduta arrivarono molti altri progetti.
Non conosco persone che hanno dato la propria anima in qualcosa in cui credevano fino al midollo e non gli si è presentata un’occasione per poter dimostrare a loro stessi o agli altri quanto valgono.
Con il team stiamo strutturando un progetto per portare State Vision nelle scuole superiori, il progetto sarà educativo indirizzato sui media e sui lavori che riguardano questo mondo.
Invece personalmente ho alcuni progetti su cui sto lavorando, quando saranno più concreti ne parlerò super volentieri, ad ora va bene così. Però vi posso dire che come collettivo siamo molto versatili, ognuno ha un’attitudine punk a modo suo, abbiamo tante passioni che ci portano a non essere sempre e solo fossilizzati sui video. Davide oltre ad essere un montatore è un breaker e qualche anno fa insegnava anche, lo chiamiamo “il saggio” perché sembra arrivato da altri tempi. Enrico invece, oltre ad essere dop e colorist, è un amante della montagna e delle moto.