Conosciutisi nel 2014 alla scuola di scrittura Holden di Torino, sono diventati inseparabili, quattro mani una sola penna. Dal 2016 collaborano insieme per la scrittura di soggetti e sceneggiature. Nel 2018 vincono il concorso Mattador con il soggetto “E’ tutta colpa nostra”, l’anno seguente vincono il bando Notorious Project dedicato ai giovani scrittori con il soggetto “Anni da cane”, grazie a questo bando che il loro progetto vedrà la luce, il film è diretto da Fabio Mollo e vede come protagonista la promettente Aurora Giovinazzo.
Dal 2020 collaborano proprio con la Notorious Pictures, nello stesso anno iniziano una collaborazione, come tutor, presso la scuola di scrittura Holden la loro prima “Casa”.
Come è nato il vostro percorso artistico e come vi siete avvicinati alla scrittura?
A: La domanda ha due risposte distinte che alla fine convergono, io e Mary ci siamo conosciuti alla Holden dove eravamo iscritti al corso di scrittura, ci siamo conosciuti lì. Per me la scrittura è sempre stata una passione, fin da piccolo. Amavo inventare storie e riproporle, ma facevo un po’ fatica a capire il modo migliore per farlo finché non ho scoperto la sceneggiatura, fondamentale nel mio percorso è stato conoscere Mary con cui posso condividere questo lavoro. In questo mestiere è importante avere accanto una persona con cui collaborare e creare.
M: Ricordo ancora quando durante uno dei primi giorni di Scuola Holden, il nostro insegnante Stefano Sardo ci diede questo compito da fare: “descrivere la persona alla vostra destra come fosse il personaggio di una serie”, o una cosa del genere. Io per caso avevo Ale. Feci questa descrizione dove misi tantissime citazioni pop con la paura che non potessero fare breccia su tante persone, invece poi è successo: ci siamo riconosciuti simili!
Ci siamo resi conto di avere moltissimi riferimenti comuni che ci univano, siamo cresciuti con gli stessi eroi ed eroine, era un punto di contatto, da MTV a Buffy. Fin dalle prime storie che abbiamo scritto, i nostri personaggi erano davvero funzionali tra loro, parlavano la stessa lingua, le nostre teste ragionano all’unisono.
Avete sempre lavorato insieme?
A: Dal 2014 in poi abbiamo sempre lavorato insieme e credo che continueremo a farlo proprio per il fatto che siamo molto affini, quello che ci piace raccontare è vicino ad entrambi sia per lo stile che per i riferimenti. Inoltre, fare questo lavoro da soli è difficile, e avere la possibilità di sfruttare un’intesa così forte con un’altra persona ti permette di lavorare meglio, è il bello di lavorare in coppia.
M: Lavorare in gruppo in questo mestiere è un punto di forza, tra le mille paranoie di noi sceneggiatori ce ne è una che le racchiude tutte, ossia ricevere dei “no”! Tu sei lì per giorni, settimane che lavori ad un soggetto e poi arriva qualcuno che ti dice “No, questo non va bene” questa cosa è paralizzante. Lavorare con Ale -e penso che la cosa sia reciproca- è, ed è stato terapeutico per reagire ai “no”. Ho capito che non ci sono solo dei no punto, ma anche dei no virgola.
Affrontare i no in questo lavoro è comunque stimolante quando le proprie idee le sottoponi ad altri e capisci che magari ci sono alcune cose da cambiare?
M: Esatto. Quando quel no è dato per spronarti a far venire fuori il meglio da quella storia, devi sperare che ci sia.
A: Si, riuscire a capire come modificare la propria idea e renderla più appetibile, e questo lavoro se lo si fa in due ti viene più semplice.
Come è nata l’idea che è alla base del film Anni da Cane?
M: Io e Alessandro abbiamo finito la Holden nel 2016. E nei primi anni subito dopo il Master molti nostri soggetti venivano respinti, e ogni volta dovevi essere sempre equilibrato, in quel rifiuto ci dovevi sguazzare ma non troppo, dovevi essere triste ma q.b.
Succede che intorno alla primavera del 2018, di sabato, ricevemmo l’ennesimo “no”, giusto in tempo per rovinarci il weekend. Eravamo davvero demoralizzati. Pensavamo: “lasciateci almeno il weekend senza paranoie!” Io ero a Torino e lui a Roma, non potevamo vederci nemmeno per berci una cosa insieme e alleviare la delusione, allora ci chiamammo e parlammo. In quel periodo ero in fissa con una canzone di Maggie Rogers, che mi aveva fatto scoprire Ale. Uno dei suoi primi singoli era “Dogs Years”, e il primo verso della canzone dice “I count my time in dog years”.
Oltre al fatto che è diventata una delle mie canzoni preferite, è una canzone che in quel momento ci consolava, tanto che dico ad Alessandro “ora torno a casa e l’ascolto in loop” e lui mi fa “ma tu ci pensi mai se davvero una ragazza tipo di 15 anni se ne sentisse 112?” Fermi tutti, dobbiamo scriverla! “ok, ma dopo il weekend” mi dice Ale. Giusto, giusto. Prendiamoci il week end per fare mente locale e lunedì abbiamo iniziato a lavorarci su. Stella è nata in quella telefonata di sabato pomeriggio che era partita tanto triste e poi è diventata bellissima.
A: Da lì abbiamo scritto e continuato a lavorare al soggetto. Con questa idea abbiamo partecipato al bando del “Notorious Project” che vincemmo e sempre grazie ad Anni da Cane è nata la collaborazione con la produzione (Notorious Pictures) per la realizzazione del film.
Nel processo creativo dietro “Anni da Cane” è prevalso il bisogno di raccontare il dramma dietro il personaggio di Stella oppure l’intento di far sorridere nonostante le sue problematicità?
M: Sono due strade che nelle storie che raccontiamo si incontrano, e lo fanno di continuo. Nel raccontare Stella per noi era essenziale metterci alla prova in un genere come quello del dramedy. Da noi c’è ancora chi ha un po' paura di questo termine, o chi non lo conosce, ma è il genere che viviamo tutti i giorni, se ci pensi! Mischiare la commedia al dramma, quante volte ci succede? Per noi era importante toccare Stella nelle corde più tragiche e drammatiche ricordando però che oltre a quello c’è anche altro, che ne puoi uscire se riesci ad entrare in contatto con la parte più ironica e anche scema che ognuno di noi possiede.
A: In Anni da Cane, questo processo di arrivare a capire dove sta il dramma e mescolarlo con la commedia è stato molto più semplice rispetto ad altre storie che abbiamo scritto, nel senso che qui c’era una ragazza che aveva un totale rifiuto del dramma che stava vivendo, questo ci ha permesso di innescare elementi della commedia. In che modo? Facendogli fare cose fuori luogo, scomode, anche cattive che facessero ridere ma allo stesso tempo domandare cosa stesse facendo e dove potesse arrivare, come può continuare ad assumere un comportamento così strampalato pur di ignorare il proprio dolore.
Come dice Mary sono due strade, che fin dalla nascita dell’idea, sapevamo essere parallele perché questa cosa folle di contare i propri anni come quelli di un cane in realtà cela un disagio legato ad un trauma. Forse questo potrebbe già essere un esempio di dramedy, no?
I due personaggi che ruotano intorno a Stella sono essenziali per il genere trattato e aiutano alla costruzione della linea spensierata che colma l’aspetto drammatico?
A: Sì, i personaggi di Nina e Giulio sono nati per due scopi principali. Il primo è aiutarci ad entrare meglio nella condizione che vive Stella, Nina e Giulio funzionavano un po’ come specchio per lo spettatore, abbiamo da una parte un personaggio che conosce già il dramma di Stella (Nina, Isabella Mottinelli) e dall’altra invece chi lo vive per la prima volta (Giulio, Luca Maria Vannuccini) come lo spettatore, ci servivano per centrare e riequilibrare il film e far compensare le reazioni degli altri e dello spettatore sul personaggio di Stella, tanto che durante il film Giulio chiede a Nina se Stella sia malata.
I due personaggi servono a mettere a fuoco le domande che lo spettatore si pone durante la visione e dare risposte, parziali naturalmente per non bruciare il colpo di scena finale. Inoltre, fungono anche come angelo e diavolo sulle spalle della nostra protagonista per quanto riguarda il tema dell’amore perché i due hanno una visione differente sulla gestione dei sentimenti.
M: Tutti e tre i personaggi comunque sono messi tutti sullo stesso piano e condividono la stessa cosa di cui preferiscono non parlare: la paura. Quella adolescenziale di crescere e scoprire nuove cose. Quella di iniziare a vedere i contorni del tuo mondo e sentire che non ti appartiene. Quella di essere chi più chi meno, pronto a reinventarti ogni giorno.
Prendiamo Giulio, dietro questo suo essere un one man show sempre sul pezzo, nasconde la paura di affezionarsi a qualcuno per paura di soffrire, e non ammette questa cosa. Nina invece è innamorata dell’idea dell’amore per paura che la sua non sia all’altezza della realtà. Stella è spaventata allo stesso modo, e ci piaceva che tutti e tre rappresentassero quello spaccato di paura che provano gli adolescenti (e non solo), per arrivare a capire che stando insieme le cose possono fare meno paura.
In una delle interviste a ridosso del film Fabio Mollo (il regista) raccontava una delle nostre scene preferite: l’alba al Gianicolo. Ecco, in quella scena Stella, Nina e Giulio si conoscono da quanto, un’ora? Ma a quell’età quando fai una nuova amicizia, scatta il colpo di fulmine proprio come succede in amore, anzi, a volte anche di più. In quel momento loro si conoscono e si riconoscono simili. Outsider per tutti gli altri, infatti corrono da soli verso l’alba, ma simili per loro. Questo é Anni da Cane.
A: Per collegarmi sempre al discorso dei personaggi dal momento in cui abbiamo cominciato a costruirli, li abbiamo dotati di questo alibi, un castello di carta, una sorta di muro dove nascondersi: quindi gli anni da cane, la convinzione di vivere una relazione perfetta e puntare ad Elio di Call Me By Your Name perché sai che ogni paragone sarà irraggiungibile. Anche il personaggio di Rita (Sabrina Impacciatore), la mamma di Stella, ha un tarocco in meno, non viene detto ma quello mancante è quello della morte. Ogni personaggio è stato costruito su questa cosa cioè sul fatto di avere una convinzione in cui credere fortemente per nascondere qualcos'altro di molto più drammatico e cercare di proteggersi.
Quali sono state le ispirazioni per Anni da Cane?
A: Ovviamente ognuno di noi due ci ha messo dentro qualcosa nelle sfumature dei personaggi, nelle singole battute oppure nella creazione delle situazioni, per esempio la festa a tema animali è nata da una sera in cui ci siamo ritrovati a una festa a tema animali senza saperlo. E ovviamente eravamo pesci fuor d’acqua, per rimanere in tema.
Con Stella siamo stati più buoni, l’abbiamo avvisata. Credo, comunque, che la cosa a cui ci siamo attaccati di più è stato andare a riprendere le emozioni che avevamo da ragazzi, che è un sentire universale: la frenesia, il desiderio di stare al passo con gli altri, tutto quel marasma di cose che si vivono a 16 anni. Quando si era in viaggio, verso scuola, e si ascoltava la musica con le cuffiette e partiva il brano triste ed immaginavamo come sarebbe stato il nostro funerale. In Stella questa cosa c’è e l’abbiamo riportata nel film per raccontare che quella fantasia ti vuole far pensare su chi davvero ti vuole bene.
M: Su cosa ci ispiriamo ci viene da dire tutto, se pensi che l’idea del film è nata da una canzone! Abbiamo questa abitudine di fare un recap ogni lunedì, al telefono, su tutte l e cose che ci sono capitate, o che abbiamo sentito da amiche e amici. Cose che abbiamo letto, visto, ascoltato. Anche (anzi, soprattutto) le cose più stupide. E spesso da questo nostro confronto nascono idee o intere (future) scene.
Vi sentite molto legati al dramedy e se avete intenzione di misurarvi con altri generi?
M: Da quando ci siamo conosciuti abbiamo sempre sperato e lavorato per esordire con un teen. Era una di quelle cose in comune che abbiamo scoperto di avere alla Holden. Siamo appassionati e studiosi del genere, ci siamo cresciuti, ci siamo fatti coccolare da quei film, sono una sorta di fratelli e sorelle maggiori.
Forse c’entra anche questo, una sorta di senso di restituzione, ora che siamo più grandi. Tornassi indietro, nella mia adolescenza, mi piacerebbe vedere un film come Anni da Cane, il teen per noi era una cosa importante da sperimentare e ben venga in futuro un lavoro simile a quello che abbiamo fatto su Stella. Per quanto riguarda il futuro, noi abbiamo come punto di riferimento la commedia, e soprattutto in questo periodo c’è la voglia di miscelare diversi generi alla commedia dal crime al noir rendendola ancora più appetibile, quindi cercheremo di orbitare intorno alla commedia mescolando sempre generi che possono sembrare assurdi. Siamo stimolati in questo vedendo ciò che ci circonda, faccio l’esempio di Freaks Out, che piaccia o no è un mix perfetto di generi. E questa secondo noi è la strada da percorrere.
A: Sono d’accordo con Mary, ora il nostro genere a cui ci approcciamo è il dramedy, in futuro non si sa mai, è una sfida stimolante trovare un equilibrio in questo genere che mescola la commedia col dramma.
Il dramedy è un genere che sta crescendo molto in Italia. Ci sono e se sì quali sono i rischi dietro una scrittura di questo genere i rischi da evitare e secondo voi il pubblico italiano e anche la critica cinematografica è pronta ad un genere simile?
M: Se siamo pronti penso di sì, assolutamente. Se ci pensi la maggior parte delle storie che guardiamo sono di questo genere. È il genere che meglio rappresenta quello che ti può capitare in un giorno qualsiasi. Quando ci chiedono che cos’è il dramedy? per spiegarlo e io e Ale utilizziamo una vignetta del New Yorker di Jason Adam Katzenstein: un ragazzo sta lasciando la sua fidanzata quando scivola su una buccia di banana. È questo! Il rischio, se c’è, è che ci vuole tantissimo allenamento, è una scrittura difficile da proporre, devi fare in modo che quello che scrivi arrivi a tutti. Per cercare di superare questo rischio secondo me è fondamentale lavorare con qualcun altro. Quello che io scrivo ha bisogno di essere sottoposto al mio compagno o alla mia compagna di lavoro per vedere se può funzionare, perché la vede con distacco e poi ci si può lavorare insieme per aggiustarla e migliorarla, questo potrebbe essere utile per esercitarsi con la scrittura di questo genere.
A: Io parto anche io dalla seconda domanda e dico sì, siamo prontissimi a questo genere. Siamo abituati a questo tipo di tono e se pensi alla nostra tradizione della commedia all’italiana, sempre con quel retrogusto un po’ amaro. L’unico problema è che se colleghiamo il dramedy alla serialità, alle grandi serie autoriali che hanno una voce fortissima, la cosa da noi diventa improvvisamente più lontana. Se facciamo questo paragone non capiamo, c’è un gap grandissimo, non solo di scrittura ma proprio d’intenti, queste grandi serie, penso a Girls, Fleabag, Master Of None, Atlanta, sono la voce di un autore o autrice preciso che segue la serie per filo e per segno, in ogni fase. Quindi il suo dolore, il suo conflitto, rimane suo, rimane intatto, e diventa credibile, universale.
L’unico problema, forse, in Italia è proprio questo, che lo sceneggiatore ad un certo punto perde d’importanza e il suo lavoro viene snaturato; quindi, è molto difficile fare un paragone con il dramedy americano, siamo pronti ad usufruirne ma non a produrlo. Non ancora. Ma le cose stanno cambiando.
In Anni da Cane, oltre alla difficoltà del dramedy avete lasciato un filo onirico durante tutto il film, legato al concetto degli anni e lei che crede di star per morire, lasciando il dubbio allo spettatore per tutto il film
M: Sì! Molte persone ci hanno scritto dicendoci che erano convinte che Stella se ne fosse andata.
A: Sull’aspetto onirico Fabio Mollo è stato fondamentale, ha spinto molto su questo aspetto. Ci ha aiutato fin dalla fase di sceneggiatura.
M: Siamo stati fortunati perché Fabio aveva capito esattamente cosa frullava in testa Stella, lui rispettava il suo mondo e quindi noi che l’avevamo creato. L’attenzione che dava alla sceneggiatura e alle nostre scelte era stimolante, naturalmente lui correggeva il tiro per questioni di regia ma non erano mai dei no punto ma dei no virgola: facciamo così che magari viene meglio. Comunque, non è stato per niente scontato trovare un regista che si fidasse di due autori come noi e credesse in un film così particolare, così intenso.
E poi Aurora Giovinazzo ha fatto qualcosa di incredibile: la sua Stella è proprio come l’avevamo sempre immaginata. Ma il merito è di tutte le persone che hanno lavorato al film, di ogni reparto, hanno fatto un lavoro incredibile, li ringrazieremo per sempre.
A: Tornando al discorso del dramedy, queste storie sono tutte legate a dei personaggi e devi rispettare, non tradire mai il loro mondo che ingloba tutta la storia, bisogna scavare a fondo sulla creazione del personaggio, è un genere che si basa su piccoli momenti della vita quotidiana, piccole battute!
Il soggetto è stato presentato al bando della Notorious, gran parte del progetto era già scritto o il confronto con Fabio Mollo ha comportato delle modifiche?
M: Noi al bando del Notorious Project abbiamo partecipato con un soggetto e poi abbiamo sviluppato la sceneggiatura e quando Fabio è entrato nel progetto la storia già c’era. Lui però ci ha aiutato a migliorarla soprattutto in vista delle riprese, alcune scene da noi scritte su carta magari funzionavano ma lui dava delle indicazioni anche visive che ci hanno fatto riflettere.
È stata una scuola importante lavorare con lui e fondamentale è stato per noi sceneggiatori stare sul set e vedere come si sviluppa la nostra storia. Sottolineo che deve essere fondamentale, dovrebbe diventare una regola, la nostra presenza, degli autori intendo, sul set mentre si gira. Ne guadagno tutti, noi, il regista, gli attori, lo staff. Anni da Cane è un film molto veloce, i dialoghi sono botta e risposta e gli autori sul set possono guidare ciò che è su carta e spiegarlo agli attori oppure rendersi conto che ciò che hanno scritto non è sempre fluido.
A: Assolutamente,sì!
Quali sono i vostri riferimenti autoriali?
M: i veejay di MTV? Scherzo, partendo dalla Holden per me e Ale ci sono stati dei titoli di riferimento comuni. Tra tutti per me Lena Dunham, ora si può dire quello che vi pare, vi piace non vi piace, ma lei si è messa in gioco in un modo e in un momento che per la mia generazione è stato fondativo.
A: Pensando anche al cinema, in realtà i riferimenti combaciano tra me e Mary. Abbiamo iniziato a scrivere ad esempio Anni da Cane e avevamo in mente di creare un prodotto con una patina molto più indie, avevamo in mente un lavoro simile a Little Miss Sunshine, Juno, Sing Street, Submarine...
M: Comunque se c’è una serie che avremmo voluto scrivere e che davvero troviamo geniale è Ted Lass. Sia a livello drammaturgico con il lavoro sui personaggi sia a livello personale, fa stare bene. Come dice il protagonista jason Sudeikis, “Ted Lasso' is not a show. It's not a character. It's a vibe”.
Collaborate insieme per la scrittura ma chi tiene la penna durante la realizzazione dei soggetti?
A: Abbiamo un modo molto strano per scrivere ma ormai ci siamo abituati. Abitiamo in due città diverse quindi passiamo circa 8 ore al telefono tutti i giorni, tranne il weekend, quello è sacro, lo abbiamo detto all’inizio, giusto? In 8 ore ovviamente devi alternare le fasi di lavoro a quelle di cazzeggio. Ma quando trovi la quadra, diventa una macchina da guerra.
M: Ormai siamo anche una macchina collaudata, sono sei anni che lavoriamo insieme. A volte quando andiamo a rileggere i nostri lavori non capiamo chi ha scritto cosa perché ormai il nostro stile è mescolato ed uniforme. E questo è un bene perché altrimenti sembrerebbero storie separate.
A: L’importante è trovare una visione unica e condivisa prima di iniziare a scrivere, dividerci i compiti e lanciarsi nella scrittura. Noi teniamo la penna insieme!
M: Ribadisco che tutto questo accade rigorosamente al telefono, no Skype, Zoom o Meet. Siamo nostalgici, siamo la MTV Generation!
Anni da cane è un progetto nato nel 2018, ora a che state lavorando? Avete qualcosa in cantiere?
A: Stiamo lavorando ad un film. Poi sai io e Mary scriviamo moltissimo quindi abbiamo molti progetti nel cassetto, mai dire mai.
M: Il fatto che ricevessimo dei no ci ha spinto a sfornare idee e progetti continuamente. Questa cosa ci ha salvati, un consiglio davvero sentito a chi fa questo mestiere: Non fatevi fregare dai NO, fate della sana autocritica, ricordatevi che una pizza risolleva il morale praticamente a tutti e continuate a produrre.